Alcuni Passaggi

(1)

Non so quanto tempo passò da quei momenti prima che gli chiedessi:
“Dove andiamo adesso?”
“ah.. non lo so” rispose
“come non lo sai!” replicai con un tono di voce che lasciava intendere chiaramente la mia delusione per quella sua risposta.
“non lo so proprio” ripeté nuovamente e, senza aggiungere altro e spiccando un piccolo salto, si sedette su un di muricciolo fatto di sassi che costeggiava il ciglio di una strada asfaltata.
Improvvisamente fu come fare un passo in un’altra dimensione. L’atmosfera cambiò grazie a quel muretto sul quale lui si era appena seduto e che riconobbi.
Così di colpo mi ritrovai a mia volta seduto sul mio vecchio carrettino di legno con le ruote di ferro già pronto per partire.
“Vogliamo fare una gara?” gli dissi subito.
“Vediamo chi arriva per primo laggiù!” continuai con un tono di sfida.
Non si era seduto per la stanchezza perché, facendo leva sulle braccia, si dette subito una spinta e, con un balzo in avanti, mi raggiunse sulla linea disegnata da una crepa sull’asfalto che avevamo trasformato in linea di partenza.
Se i carretti avessero avuto il motore, adesso avrebbero fatto un gran baccano ma, in assenza di esso il baccano lo facevamo noi imitando il rombo delle fuoriserie con la bocca.
Tre, due, uno, via!.
Entrambi partimmo giù per la lunga discesa spingendo con le mani sull’asfalto e controllandoci a vicenda per cercare di stare davanti.
Per un bel po’ ci alternammo in testa alla corsa.
Le piccole ruote dei carretti giravano vorticosamente sferragliando giù per la ripida discesa.
Ad ogni piccolo sassolino il carrettino sobbalzava non avendo niente con cui ammortizzare le scosse.
Non potevano certo essere le ruote ad ammortizzare i colpi visto che queste erano solo dei cuscinetti di acciaio presi da chissà quale ingranaggio e riciclati allo scopo.
Per volante avevamo due pezzi di corda legati alle estremità degli assi delle ruote davanti che alternativamente tiravamo come se stessimo cavalcando un ciuchino.
Si perché come i ciuchini, anche i carretti erano imprevedibili.
Le ruote di acciaio a contatto con l’asfalto non garantivano una grande presa al suolo e bastava una sterzata un po’ più brusca che il carretto si metteva di traverso e andava per conto suo inesorabilmente, proprio come fanno i ciuchini quando decidono di non obbedire più al loro cavaliere.

Fu proprio per un testacoda che arrivai secondo in fondo alla discesa.
Io non me la presi e lui non festeggiò la vittoria anzi, mi disse:
“domani ti porto a scuola con me, vuoi venire?”

(2)

I giorni che seguirono non cambiarono le cose fino a quando una mattina, all’uscita di scuola, lo rividi.
Lui era appoggiato all’angolo dell’ultimo edificio in fondo alla strada e mi stava aspettando.
“Aspettami un attimo” dissi alla ragazzina dai capelli neri, “torno subito”.
Vedendomi avanzare da solo, anche lui con un colpo d’anca e allungando le braccia in avanti per recuperare il giusto equilibrio, si distaccò dal muro e mi venne incontro.
Come sempre parlò per primo.

“Adesso ti devo abbandonare” mi disse.
“Perché?” gli chiesi preoccupato.
“Da ora in poi non sarai più soltanto uno spettatore” aggiunse.
“Vivrai delle cose che non potranno essere condivise.
Per queste dovrai essere da solo.
Vedrai che non sentirai la mia mancanza.” continuò.
“No ti prego non andartene, non mi lasciare adesso” replicai.

Ma, quando ancora le mie parole mi riecheggiavano disperate nelle orecchie, lui si era già voltato e messo a correre e io ero rimasto li, impietrito, a guardarlo mentre si allontanava.
Continuai a seguirlo con lo sguardo nella speranza che prima o poi si fermasse e tornasse indietro, ma non accadde.
Una parte di me si stava strappando per sempre lasciando un vuoto pauroso, profondo.
Sentivo che non lo avrei più rivisto.
La mia Guida non c’era più.
Come avrei fatto adesso?
Cos’è che non avrei potuto condividere?
Come avrei passato il mio tempo?
A chi mi sarei potuto rivolgere per conoscere le risposte alle mie domande?
Come sarei potuto andare avanti da solo?
In quel momento non sapevo neppure se ero seduto o in piedi se stavo camminando o se stavo correndo, se ero adulto o ragazzo, se …
ma una mano posatamisi sulla spalla corse in mio aiuto.
La ragazzina dai capelli neri.
“Chi era?” mi chiese.
“chi?” risposi.
“Quel bambino!” aggiunse.
“L’hai visto anche tu?” le domandai incredulo.
“Certo.. perché non avrei dovuto vederlo?”

La confusione che avevo in testa aumentò.
Non capivo più chi ero.
Avevo sempre pensato di essere il solo a vederlo ma adesso anche lei, la mia inconsapevole fidanzatina l’aveva visto; e dunque?

“allora, mi dici chi era?” insisté decisa, distogliendomi dalle mie insolute domande.
“Un mio amico.
Un amico che non tornerà più” risposi.
“Tutti prima o poi ce ne andiamo” ribatté mentre con una mano si stava alzando il bavero del suo cappottino blu e con l’altra si stava tenendo il cappellino di maglia a righe bianche e blu pigiato sulla testa.
“Senti questo vento?” disse.
Certo che lo sentivo e sapevo che non portava niente di buono.
“Penso che andrò con lui” aggiunse.
Il vento era li per questo.
E lei lo sapeva.
Capii, così, perché anche lei lo aveva visto.
Lei era stata la prima a farmi battere il cuore, a farmi sognare.
Lei, quella speciale.
Quella che mai, nella sua assoluta purezza, sarà dimenticata.

Inutile opporsi.
Il vento si era alzato per portarla via da me come già era accaduto per i Miei.
Così mi sedetti, rannicchiandomi in avanti fino ad appoggiare il mento sulle ginocchia piegate e aspettai rassegnato che aumentasse di intensità.
Non guardai quello che fece alla ragazzina dai capelli neri né come la portò via da me, ma sapevo che il vento non era cattivo ed ero sicuro che mai le avrebbe fatto del male.


casagra

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